Quattro profili di stalker: come riconoscerli
Tornando dal mio studio in bicicletta mentre pioveva, mi godevo la sensazione di pienezza e di libertà che tale gesto, nella sua semplicità, procura regalando una sensazione di piacere a stretto contatto con la natura.
Questo stato di serenità mi ha fatto riflettere sull’importanza di potersi sentire liberi, di esprimere con azioni e pensieri ciò che scegliamo e mi sono venute in mente due delle tante tragedie della cronaca estera.
La vicenda recentissima di Sana Cheema, la ragazza pakistana uccisa dal padre perché voleva sposare un ragazzo Italiano e Mutlu Kaya, giovanissima anche lei, ridotta in fin di vita in Turchia perché cantava a braccia scoperte in un talent show.
Screenshot della testata digitale di Repubblica sulla vicenda di Sana Cheema
Donne che sono private della loro libertà nelle piccole e nelle grandi decisioni, donne che pagano con la vita le scelte non condivise dalla cultura o dalle loro famiglie.
Mi sembrava di avere il dovere di godermi quella sensazione di libertà anche per loro, per tutte quelle donne che non si sono potute sentire compiute e realizzate nei loro intenti.
Ci sono tanti modi di limitare la libertà di una persona e contestualizzando il nostro momento storico, lo stalking forse ne rappresenta l’espressione più frequente.
Colui che stalkerizza considera la persona con cui vorrebbe vivere una relazione affettiva solo in funzione della soddisfazione dei propri bisogni e desideri, non riesce a relazionarsi con essa non percependola come persona pienamente libera e autonoma.
In una relazione sentimentale riuscire ad accettare l’autonomia del proprio partner o del proprio familiare, tollerare la frustrazione e le delusioni, tenere assieme l’immagine buona con l’immagine cattiva che si ha di essa, costituisce un traguardo evolutivo raggiungibile se l’ambiente in cui si cresce è fondamentalmente un ambiente sano.
Se questo modo di relazionarsi maturo non viene raggiunto, spesso si agisce un “modus relazionandi” disfunzionale, che può arrivare al rapporto patologico.
Si possono classificare quattro tipologie di stalker
Il risentito, colui che di solito a causa di una relazione sentimentale passata, si sente vittima di torti subiti
Il bisognoso d’affetto colui che desidera che una relazione di amicizia o di conoscenza si trasformi in relazione sentimentale
Il respinto colui che è stato rifiutato o allontanato dalla vittima e non si rassegna a questa decisione, quindi, con l’intento di vendicarsi, e tenta di riallacciare la relazione con la vittima perseguita
Il predatore colui che ha un obiettivo di natura quasi sempre esclusivamente sessuale, trae eccitamento dal predare le vittime, le rende veri e propri oggetti di caccia.
Dall’esperienza clinica personale, gli stalker non hanno un senso di colpa per i propri comportamenti persecutori e talvolta provano solo vagamente vergogna quando vengono smascherati nei loro intenti.
E’ interessante questo particolare perché il senso di colpa, di cui spesso parliamo come un fardello pesante, è invece importantissimo per assicurare il reciproco rispetto. Infatti il senso di colpa impedisce di far del male all’altro e comporta necessariamente l’aver sviluppato la capacità di preoccuparsi per il proprio partner.
Chi è frenato solo dalla vergogna può tranquillamente maltrattare una persona, infierire sul partner, fino a quando non viene scoperto.
Gli stalker non chiedono mai un aiuto psicoterapico, non hanno consapevolezza del loro agire, chi chiede aiuto è di solito la vittima e lo chiede ripetutamente alle forze dell’Ordine.
Assistiamo parallelamente ad un una forma di mutismo sociale, ovvero tutti coloro che ruotano nella sfera relazionale di chi stalkerizza colludono con i suoi comporti disfunzionali.
Nessuno sembra accorgersi del pericolo e della violenza che questi comportamenti arrecano, tutti sembrano sottovalutare.
Sarebbe invece prezioso che venissero attenzionati, che si cercasse di ostacolare il loro ripetersi attraverso un sostegno verbale, che si cercasse di prevenire gesti dolorosi chiedendo l’aiuto di professionisti.
Non rimaniamo in silenzio, la nostra libertà si esprime solo se rispettiamo i limiti della libertà dell’altro.