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Anoressia: leggerezza o inconsistenza

Quasi estate, quasi mare, quasi vacanze.

I temi delle sedute dei miei pazienti si dirigono sempre più spesso sul disagio della prova costume, sul desiderio di sentirsi e apparire in forma. Pensieri comuni stagionali alimentati dalle immagini di modelle nelle pubblicità sulle riviste e sul web.

Queste preoccupazioni stagionali mettono in risalto ancora di più la difficoltà e la fragilità di altri pazienti di sentirsi bene nella propria immagine corporea. Parlo di pazienti con disturbi alimentari come l’anoressia.

donna bambina

In loro il controllo alimentare non è un comune desiderio di sentirsi in forma ma un dominio totale del proprio corpo e delle sue funzioni, spesso accompagnato dalla negazione degli stimoli come la fame o la stanchezza.

Questo disagio è un sintomo profondo, che si manifesta con il non sentirsi adeguati rispetto ad un modello femminile etereo, dove la magrezza diventa la qualità essenziale per piacersi e piacere.

Come l’isteria nell’ottocento, l’anoressia esprime le contraddizioni dell’identità femminile ai nostri giorni diventando un sintomo socialmente strutturato. Il produrre, il consumare, il dissipare, l’apparire agiscono come manifestazioni di questo particolare disagio psichico rivelando, come una cartina tornasole, una società liquida che sembra denunciare un vuoto dello scambio affettivo.

L’atteggiamento di rifiuto, caratteristico dell’anoressia, non riguarda esclusivamente il cibo ma coinvolge più in generale la sfera del desiderio.

Nell’atto dell’alimentazione non c’è solo l’aspetto della sopravvivenza ma ritroviamo anche la nostra prima modalità relazionale e comunicativa. In questa prima forma di accudimento vediamo coinvolti primariamente due soggetti: uno riceve il nutrimento e un altro lo offre. Chi ci offre per primo il nostro nutrimento è la nostra mamma che assume un ruolo chiave nel nostro sviluppo.

allattamento: il primo grande atto d'amore

Le vicissitudini e l’esito di questo primo incontro, caratterizzano in tutti noi le prime esperienze affettive e cognitive.

L’alimentazione accompagna e veicola tutta una serie di emozioni come il piacere e dispiacere, vicinanza e intrusione, accoglimento e trascuratezza.

Per questo il rifiuto nel soggetto che soffre di anoressia non riguarda solo il cibo, ma più in generale la relazione affettiva.

Il deserto della persona anoressica, immagine così frequente nei sogni di chi ne soffre, può essere letto come una reazione viscerale ad un troppo pieno concreto, un vuoto emotivo che è risposta di un sociale materno che ingozza di cose concrete e affama di desiderio.

Il deserto: incubo ricorrente delle persone che soffrono di anoressia

Spesso queste tipologie di madri non contemplano la possibilità che le figlie abbiano una vita diversa da se, separata e separabile, vivendole come un proprio prolungamento fisico e psichico servendosene inconsapevolmente come una realizzazione idealizzante di loro stesse destinata a salvarle dalla solitudine e dalla frustrazione.

Sul piano psicologico il tema centrale che impegna il paziente anoressico e su cui lo sviluppo sembra incagliarsi è quello della separazione. Non a caso l’esordio della malattia avviene proprio in quel particolare momento in cui la loro spinta ormonale le indirizza verso una definita identità di genere.

In questo processo chi soffre di anoressia sembra essere in conflitto con il modello femminile e soprattutto con quello materno nello sforzo di acquisire una indipendenza dalla madre che evidentemente non è stata ancora conquistata.

Il terreno del conflitto dell’anoressica diventa il corpo, attaccato nelle sue nuove forme femminili e nelle sue funzioni procreative.

Lo sviluppo del proprio corpo, verso uno stato più maturo e così diverso da quello precedente non viene accettato.

L’attaccamento al corpo precedente, immaturo, testimonia la difficoltà di accettare il cambiamento, di esprimere attraverso le parole il conflitto interiore che viene somatizzato.

Nel contesto famigliare dell’anoressica spesso manca la dimensione triadica.

la figura paterna è fondamentale per un corretto sviluppo interiore dei figli, in particolare delle figlie femmine

la figura paterna è esclusa nella crescita e nello sviluppo psicologico della paziente colpita da anoressia

Prevale e domina in questa famiglia la relazione simbiotica tra madre e figlia, in cui il terzo elemento, ovvero il padre, è escluso. La spinta di definirsi e di confrontarsi con la dimensione di una nascente sessualità della figlia minerebbe e romperebbe questo equilibrio patologico.

L’avvio della patologia anoressica sembra essere l’unica modalità per impedire un processo di crescita e di separazione ineludibile e terrorizzante.

L’anoressica diventa custode protettrice, attraverso il tempio del suo corpo, di una falsa e precaria unità famigliare: fermando ad ogni costo la sua crescita e la separazione dalla famiglia.

La paziente anoressica ha fame di amore e di riconoscere nello sguardo del prossimo accettazione e accoglimento.

Solo con l’aiuto di validi professionisti e di un lavoro psicoterapico su se stesse è possibile uscire da questa patologia, liberandosi dallo specchio deformante dello sguardo altrui e imparare che crescere significa imparare ad accettarsi.

La conquista dell’io è un percorso lungo e difficile che insegna, attraverso l’esperienza della terapia, ad interiorizzare aspetti benefici e sfuggire agli aspetti che causano paura e dolore.

La terapia fatta con la vostra psicologa insegna a ricominciare a volersi bene attraverso il cibo, ad apprezzare il nostro corpo per quello che è, ma soprattutto ad esprimere i conflitti attraverso una modalità più funzionale e matura: le parole.

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